Lucca, stop a kebab e fast food

Giro di vite gastronomico del Comune di Lucca. La giunta ha infatti approvato il nuovo regolamento sugli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande che prevede, tra l'altro, il no all'apertura di nuove pizzerie veloci, al taglio, fast food, rivendite di articoli da mare e per la nautica, sexy shop ed esercizi di media e grande distribuzione, così come kebab e ristoranti etnici, all'interno del centro storico della città.


Non solo, «al fine di salvaguardare la tradizione culinaria e la tipicità architettonica, strutturale, culturale, storica e di arredo», il regolamento prevede addirittura che in ogni menu proposto dai locali del centro debba essere inserito un piatto tipico della Lucchesia: l'ingordigia della nostra classe politica tocca così vette inimmaginabili. Ingordigia si, perchè solo ingorda può essere definita una politica che non si accontenta di sorvegliarci, ispezionarci, spiarci, numerarci, arruolarci, indottrinarci, censurarci e tassarci, ma si spinge sino a dettarci il menu delle nostre cenette romantiche.

La salvaguardia dei prodotti tipici è una delle motivazioni più "forti" addotte a sostegno di tale provvedimento: Mc Donald's e ristoranti etnici costringerebbero alla chiusura i ristoranti e le trattorie tradizionali, e poco male se qualcuno griderà al razzismo.

Come spiega Alberto Mingardi, trattasi però di

un'accusa priva di qualsivoglia evidenza empirica: anzi. Il Gambero Rosso non ha dichiarato fallimento da che i "Mac" sono sulla piazza. Semmai negli ultimi anni ha visto intensificarsi le proprie attività editoriali: segno che vi è un pubblico crescente, di lettori e ristoratori appassionati. Allo stesso modo, un'occhiata sommaria alle vie centrali di città come Milano o Roma conferma che la presenza di un certo numero di fast food non ha impedito in nessun modo la sopravvivenza dei ristoranti di qualità. Proprio perchè le due cose non si escludono a vicenda [...] questo perchè i Mac rappresentano una risposta diversa a problemi diversi, non il tentativo di soppiantare la trattoria old style


L'unico risultato che avrà il nuovo regolamento comunale sarà quello di restringere il ventaglio di offerte che quotidianamente e spontaneamente il libero mercato offre a noi consumatori; e quando si restringe la possibilità di scelta, ça va sans dire, si restringe la nostra libertà.

Porci bevitori siete i prossimi!

Nuovi limiti alcolemici al vaglio e pesanti restrizioni sugli orari di libera vendita al pubblico degli alcolici, sono queste le due direttrici lungo le quali si stanno muovendo il Parlamento ed alcuni Comuni.


La preoccupazione per l’incombere di simili provvedimenti cresce anche nella nostra Toscana, con le associazioni di categoria che stanno giustamente alzando la voce contro certe ipotesi balzane, ispirate dalla più completa incapacità che le autorità mostrano nel garantire la sicurezza e l’incolumità di noi cittadini e da un cieco proibizionismo che di tanto in tanto torna a fare capolino.

Lo Stato è l’unica “azienda” che quando fallisce nei propri intenti, anziché togliere il disturbo, espande i propri poteri: la manifesta incapacità di tenere a bada i pochi soggetti pericolosi in circolazione, si risolve così in un costo secco per tutti noi.

Il carattere pubblico della forze dell'ordine lascia, allo stato attuale, poche valide alternative percorribili: l’unica politica seria che le autorità potrebbero perseguire in questo momento sarebbe quella di incrementare i controlli e magari implementarli, prevedendo ad esempio, più che test alcolemici scarsamente attendibili (ognuno di noi risponde in modo assai diverso a medesime concentrazioni di alcool nel sangue), dei test per la misurazione dei riflessi.

Soluzioni simili porterebbero però, questo il rovescio della medaglia, ad una inevitabile ulteriore contrazione degli spazi di libertà personale di cui possiamo godere nel nostro vivere quotidiano; la sola strada percorribile per coniugare sicurezza e libertà, è quella che conduce ad un regime di polizia privata che operi in un contesto libertario di sole proprietà private; in una situazione simile, le pattuglie presumibilmente incrementerebbero la frequenza dei controlli, non tanto per ritirare patenti a chi si sia mangiato un Mon Chéri (proprio in questi giorni, nelle commissioni parlamentari, qualcuno ha ventilato l’ipotesi di portare i limiti alcolemici allo 0,0!!!), bensì per raccogliere informazioni, che poi sarebbero incentivate a rivendere ad un bureau (esattamente come il credit bureau nel mondo del credito) che a sua volta offrirebbe tali informazioni alle compagnie assicurative.

Queste ultime potrebbero quindi adeguare il loro prezzo alle informazioni sul rischio di ciascun guidatore, cosa oggi resa impossibile dall’asimmetria informativa generata dal carattere pubblico delle forze di polizia, che spinge le compagnie assicurative ad alzare il premio per tutti noi.

Con una polizia privata ed in assenza di spazi pubblici, potremmo avere quindi una miriade di vantaggi: maggiori controlli, più sicurezza e costi assicurativi minori per chi non prende rischi al volante. Quelli del governo e dei Comuni, Roma in testa, sono invece i soliti spot elettorali, volti a mostrare una faccia truce che in poco tempo – al solito – mostrerà tutta la sua fallacia.

Indecente, non troviamo altre parole per descrivere la situazione che si è venuta a creare: come Clan esprimiamo tutta la nostra solidarietà a quei gestori che sarebbero messi definitivamente in ginocchio da provvedimenti del genere, e a tutti quei cittadini che, semplicemente, vorrebbero continuare a bersi in santa pace un bel bicchiere di Chianti durante i loro pasti.
Porci bevitori...siete i prossimi!!!

A suon di consulenze...


Qual è la risposta alla crisi finanziaria? Semplice, una consulenza da 100.000 euro.

E’ questa l’ultima geniale trovata della Regione, che ha assunto il dottor Andrea Des Dorides per coordinare la task force che dal 19 gennaio tenterà di dare risposte alla depressione economica in corso che attanaglia anche la nostra Toscana.

Mentre le famiglie sono costrette a tirare sempre più la cinghia per far fronte alle esigenze quotidiane, la Regione allarga insomma i cordoni della borsa, affidandosi ad un improvvisato guru per tentare di risolvere, come d’incanto, quello che nessuno nel mondo è in grado di risolvere.

Non si tratta di pessimismo fine a sé stesso, né di una particolare sfiducia nel dottor Des Dorides, reduce dalla direzione generale della Croce Rossa italiana e dalla guida delle Aziende sanitarie di Siena e poi di Careggi.

Trattasi semplicemente di scienza economica, quella scienza che oramai quasi un secolo fa, ci ha mostrato, grazie alla Scuola Austriaca di Mises ed Hayek, che le cicliche depressioni economiche sono dovute non ad un difetto congenito dei mercati o ad una regolamentazione carente – come evidentemente crede chiunque si inventi curiose e costose task force dalle presunte doti miracolose – bensì ad un intervento troppo massiccio in economia dello Stato e degli apparati pubblici in genere.

Nessun “ingegnere sociale” ha quindi la possibilità di incidere in positivo sulla situazione attuale e prospettica, se non compiendo un semplice, banalissimo gesto: togliere il disturbo.

Solo il laissez-faire potrebbe condurci ad una sana “pulizia” di tutto il marciume che soffoca i mercati, e non è certo sfoderando dal cilindro l’ennesimo nome da mettere a libro paga che il cielo sopra la Tuscia potrà tornare a tingersi di azzurro.

Si dirà che 100.000 euro sono quisquilie per le casse della Regione e per le tasche di noi contribuenti…ma a suon di quisquilie il piatto, oramai, piange.

ICI, la rivolta delle aziende agricole

In provincia di Siena è in arrivo l'ICI per gli immobili rurali: si parte con i comuni di Montalcino e Piancastagnaio, si finirà presumibilmente con un provvedimento esteso a tutto il territorio.

A seguito di alcune sentenze 2008 della Corte di Cassazione infatti, si è aperta la strada per una clamorosa doppia tassazione dei fabbricati rurali, la cui rendita già viene ricompresa nell'estimo per il calcolo del cosiddetto reddito domenicale.

Come sempre le grinfie del fisco si mostrano capaci di arrivare ovunque: proprio mentre alcuni avevano tirato un mezzo sospiro di sollievo per l'abolizione (parziale) dell'ICI sulla prima casa, ecco che arriva la mazzata. Specie in un momento di crisi economica come questo, non saranno poche le aziende agricole messe in difficoltà da un simile provvedimento, e c'è da giurare che alcuni saranno costretti ad indebitarsi per pagare il pizzo all'erario.

Peraltro la nuova tassa sarà particolarmente odiosa, dal momento che i comuni potranno recuperare i relativi importi sino a cinque anni addietro: è come se al termine di una partita di calcio, l'arbitro decidesse di cambiare il regolamento e riscrivesse di conseguenza il risultato.

Da parte nostra, piena e fattiva solidarietà a quanti in questi giorni si sono già attivati per contestare le nuove misure.

Filippo Mazzei: un fiorentino poco conosciuto amico di Jefferson

di Paolo Bonacchi [contatta su Facebook]

Qualche tempo fa abbiamo avuto la fortuna di sentir parlare di Filippo Mazzei, una sorta di medico avventuriero e giramondo nato a Poggio a Caiano, in Toscana in una casa proprio sulla strada che congiunge Pistoia a Firenze, e del fatto che gli Stati Uniti d'America nel 1980, in occasione del 250° anno dalla sua nascita (il 25 dicembre 1730), gli hanno dedicato un francobollo a ricordo della sua partecipazione alla Rivoluzione americana per l'Indipendenza.

La curiosità di saperne di più sul personaggio, ci ha offerto l'occasione per fare una breve ricerca sulla sua vita ed abbiamo scoperto cose davvero interessanti cui desideriamo accennare in questo Pamphlet, perché il nostro antico toscano è un vero e proprio ribelle per l'autogoverno dei cittadini, per la democrazia e la libertà.

La ragione del nostro interessamento è dovuta al fatto che emigrando nel 1773 in Virginia egli trasporta in terra d'America non solo le piante (viti ed olivi) ed i semi (granoturco conosciuto in Toscana come "cinquantino" che negli Stati uniti prende il nome di Mazzei's Corn) della sua terra d'origine, ma vi porta anche una parte significativa della cultura "politico-sociale" legata al periodo delle autonomie comunali e radicata nel popolo.

Tale cultura è, oggi, quasi del tutto dimenticata e tradita dal governo della Regione, delle Province e dei Comuni della penisola italica, che continuano a spacciare per democrazia il potere che i partiti politici hanno illegittimamente assunto nella società.

Filippo Mazzei nasce a Poggio a Caiano, vicino a Prato, il 25 dicembre 1730, da famiglia agiata di proprietari terrieri ed artigiani.

Fino a diciassette anni studia con fervore i classici della letteratura italiana, per la quale mantiene una costante passione durante tutta la sua lunga esistenza.

Terminati gli studi nelle scuole di istruzione secondaria è studente interno di chirurgia all'ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, nonostante dichiari di avere una "forte repulsione per il sangue".

Entra in contrasto con il dogmatismo religioso del cattolicesimo; posizione che assume pubblicamente attirando su di sé l'attenzione dell'inquisizione romana.

"Per essere scoperto a comunicarsi senza il prescritto digiuno" (è accusato di "aver bevuto dell'acqua tiepida con il giulebbe (un infuso di erbe) prima di comunicarsi il giovedì santo", Memorie, 1 pag. 45), oppure, come riporta Margherita Marchione, "...aveva un raffreddore e, mentre faceva la guardia, prese dell'acqua di menta rompendo la regola del digiuno di giovedì santo.", è espulso dai corsi di medicina.

Il dottor Antonio Cocchi, padre del suo amico e coetaneo Raimondo, lo persuade ad ottenere la licenza per esercitare la chirurgia, e lo consiglia di continuare a seguire privatamente le lezioni che sono aperte al pubblico.

Lo stesso introduce Filippo presso i circoli degli inglesi dove ad ognuno "è permesso di esprimere liberamente il proprio pensiero".

Frequenta il "Caffè dello Svizzero" in via Calzaioli a Firenze, che è il punto di ritrovo degli illuministi, dove è assiduo alle conferenze ed alle discussioni degli intellettuali più liberi e colti.

Dopo la morte del padre, a causa di una grave lite col fratello Jacopo per ragioni di eredità, ma più probabilmente per la sua sete di viaggiare e di conoscere, Mazzei si trasferisce a Livorno dove resta per due anni ospitato da parenti.

In questa città conosce un famoso chirurgo ebreo, il dottor Salinas, del quale diventa assistente.

Presto è noto fra la gente come "giovane chirurgo venuto in Livorno per grazia del cielo."; valutazione che lo stesso Mazzei, che solitamente non pecca di modestia, ritiene eccessivamente adulatoria.

Nel 1754, al seguito del dottor Salinas, viaggia per l'Italia recandosi a Bologna, Ferrara, Venezia, e successivamente Vienna, Pest, Temesvar, Hapsa, Petrovardin, Nikopol, Adrianopoli, Istambul e Smirne.

Nel 1756 è a Londra dove rimane, salvo rari viaggi in terra natia, per sedici anni.

Abbandona completamente la medicina dedicandosi prima all'insegnamento della lingua e letteratura italiane, poi ad attività commerciali, particolarmente all'importazione di vini e prodotti alimentari italiani.

Nel 1760 torna in Italia attraversando la Francia e la Liguria.

L'anno dopo è di nuovo a Londra dove apre un secondo negozio. Torna ancora in Italia nel 1765.

Nel 1767 è di nuovo in Inghilterra e riceve dal Granduca di Toscana Pietro Leopoldo l'incarico di acquistare due stufe speciali costruite da Benjamin Franklin, che si trova a Londra come rappresentante commerciale della colonia americana di Pennsylvania.

Dopo una decina di anni di vita a Londra comincia a dubitare del sistema inglese, che in un primo tempo ammirava come il più liberale in Europa.

Spettatore della profonda crisi istituzionale che investe l'Inghilterra negli ultimi anni sessanta del suo secolo, Mazzei si rende conto che la sottomissione alla legge, da cui discende il concetto di libertà degli inglesi, ed il controllo popolare sul potere e sulla certezza del diritto, sono spesso soltanto finzioni.

L'occasione della critica gli è offerta dal rifiuto del parlamento di accettare l'elezione popolare a deputato per il Middlesex di John Wilkes, che riceveva la simpatia di vasti strati della popolazione per le sue critiche radicali contro la corruzione della Costituzione inglese in Olarchia parlamentare, e per la difesa della democrazia.

Un'altra ragione del suo cambiamento è determinata dallo scontro fra parlamento e colonie americane sul diritto rivendicato dall'Inghilterra alla loro tassazione.

Franklin e gli altri americani che ha conosciuto a Londra, lo convincono che nelle colonie non c'è aristocrazia e che presto sarebbero diventate libere e indipendenti.

Dopo tanti anni di vita in Inghilterra è tutt'altro che entusiasta del sistema di governo inglese, e teme che anche il governo delle colonie americane sia "una cattiva copia dell'inglese e che le basi della libertà fossero anche meno solide in quella lontana terra".

In seguito a frequenti discussioni con gli americani presenti a Londra ed incoraggiato da Franklin e da Thomas Adams, decide di trasferirsi nella colonia della Virginia, in America.

Fra il 1771 ed il 1772 liquida i suoi affari e ritorna in Italia per procurarsi uomini e materiali per un suo progetto imprenditoriale: realizzare in Virginia, che per clima gli appare favorevole alle coltivazioni mediterranee, un'azienda agricola per la produzione di derrate alimentari.

Il 2 settembre 1773, parte da Livorno portandosi dietro piante, semi, bachi da seta, attrezzature e dieci contadini lucchesi, un genovese ed un sarto piemontese (che successivamente si arricchisce lanciando la moda di giacchette di pelle, molto ambite dai benestanti virginiani).

Sbarca a Williamsburg alla fine del mese di novembre dello stesso anno ricevuto da Thomas Adams.

Al momento dello sbarco è riunita proprio a Williamsburg l'Assemblea della Virginia a cui prende parte ed entra in cordiale rapporto con i personaggi più autorevoli della società virginiana.

In tale occasione Mazzei incontra per la prima volta Thomas Jefferson, George Washington, John Page, George Wythe, Richard Bland ed altri virginiani che saranno poi i suoi punti di riferimento durante il soggiorno in America come protagonisti dell’ Indipendenza.

Jefferson, che conosce abbastanza bene la lingua italiana, accoglie amichevolmente Mazzei ed il gruppo di italiani che lo accompagna nella sua splendida tenuta di Monticello e gli offre ospitalità.

Durante il soggiorno Jefferson e Mazzei s'incontrarono a passeggio nei boschi della splendida tenuta e si scambiano opinioni sulla politica e le relazioni commerciali fra l'Europa ed il Nuovo mondo.

Comincia con questa conversazione la lunga e duratura amicizia e stima reciproca, che durerà per il resto delle loro esistenze, nonostante le differenze culturali e di temperamento.

Fin dal primo incontro Jefferson fa una forte impressione a Mazzei, che cosi lo descrive: "Il Signor Tommaso Jefferson, virginiano, uomo di grande talento enciclopedico, sommo nelle scienze astratte e nella legge."

Jefferson ha allora trent'anni e pur non avendo ancora dimostrato le sue eccellenti qualità di filosofo e uomo politico, è già buon giudice del carattere degli uomini e come tale è subito attratto dal vivace e geniale toscano col quale condivide perfettamente sia la visione della situazione politica ed economica europea, sia la necessità dell'indipendenza per le colonie inglesi d'America.

Stabilita rapidamente una reciproca stima, Jefferson non vuole perderlo di vista e lo induce ad acquistare una proprietà di quattrocento acri confinante con la sua, alla quale aggiunge come regalo circa duemila acri delle sue terre.

Mazzei riporta che Adams, che lo ha consigliato di stabilirsi nella contea di Augusta dove risiede, rivolto a Jefferson dice: «Vi vedo nel viso, che me l'avete levato, e già me l'aspettavo.»

Dovendo per prima cosa risolvere il problema dell'alloggio, Mazzei pensa di sistemare gli uomini in una fattoria vicina a Monticello, mentre Jefferson lo ospita per alcuni mesi durante la costruzione della nuova casa che il toscano chiama "Colle".

L'offerta di prolungata ospitalità dimostra il saldo legame di amicizia che si è già stabilito tra i due uomini.

Terminata la costruzione del "Colle", Filippo comincia subito a lavorare, sperimentando ogni possibile tecnica agricola per verificare la rispondenza delle sementi e delle piante al suolo sul quale avrebbe dovuto avviare la nuova attività agricola.

Nel 1774 riesce nello scopo di dar vita alla compagnia finanziaria, immaginata fin dal 1771, cui da' il nome di Oglethorpe, per realizzare l'azienda agricola per la coltivazione, la produzione ed il commercio di prodotti agricoli in America.

All'impresa partecipano uomini come George Washington, Thomas Jefferson, Thomas Adams, George Mason, John Page, il governatore britannico della Virginia lord Dunmore ed un'altra ventina di notabili.

In questo anno Mazzei è riconosciuto come cittadino della Virginia.

Anche se gli esperimenti agricoli sono in un primo tempo soddisfacenti e le viti, gli olivi e gli alberi da frutta portati dalla Toscana attecchiscano bene nel fertile suolo della Virginia, nella notte tra il 4 e il 5 maggio 1774 una eccezionale gelata, senza precedenti a memoria d'uomo, distrugge la maggior parte delle viti e degli alberi piantati.

Nonostante il disastro negli anni successivi le piante sopravvissute danno risultati più che soddisfacenti, tranne gli olivi ed alcuni aranci che più delle altre temono il gelo.

È questo il periodo in cui Mazzei comincia a partecipare con l'azione e col pensiero ai moti rivoluzionari per l'indipendenza delle colonie, ed è distratto per periodi sempre più lunghi dall’ mministrazione della sua azienda agricola.

Nel 1779 torna in Europa come agente della Virginia, con lo scopo di raccogliere un prestito in oro ed argento (fino a 900.000 sterline) per acquistare armi per l'esercito del nuovo Stato di cui è cittadino.

Richiamato in Virginia nell'agosto del 1782 per render conto del fallimento della missione e per ricevere quanto a lui dovuto per i servizi resi.

Nel 1784 fonda la "Società costituzionale" che giustifica con queste parole:

«Sono sempre stato del parere che la libertà non può sussistere a lungo in un paese a meno che la massa del popolo sia conscia dei suoi benefizj e conosca sufficientemente bene i principii che soli possono reggerla. La situazione in cui trovai la mia cara patria all'arrivarvi, mi fece concludere che era ora di far qualcosa per istruire la massa del popolo. Pensai che niente sarebbe servito allo scopo meglio di una società fondata sui principi contenuti nello stampato che mi presi la libertà d'inviarle. …In quanto a me, io posso ben poco in essa, ma non mancherò di fare il mio dovere, e purché lo faccia quanto meglio potrò, mi sentirò approvato dalla mia coscienza. Non credo che i cattivi effetti delle imperfezioni esistenti nel nostro governo lederanno me: son vecchio e non ho figli. Ma la parte onesta degli abitanti di questo globo sono miei fratelli, i posteri, miei figli; e se dovessi andare a passare il resto dei miei giorni in Cina, contribuirei con piacere e conforme a quel che credo il mio dovere, tutti i miei sforzi per dare all'Umanità un asilo dall'oppressione.» (Da una lettera inviata a John Adams il 27 settembre 1785).


Ha una lite per ragioni di denaro con la moglie e per evitare ulteriori scandali, decide di raggiungere Jefferson a Parigi.

Nel 1785 si reca in visita da George Washington a Mount Vernon, poi va’ a Filadelfia; da qui parte per la Francia dove si trova l'amico Jefferson, succeduto come plenipotenziario a Franklin, da cui spera di ricevere un incarico.

Il Congresso americano aveva purtroppo deciso che tutte le mansioni diplomatiche dovevano essere riservate ai nati in America e ciò costringe Jefferson a rifiutargli qualsiasi incarico.

A Parigi si dedica per due anni a scrivere "Recherches Historiques et politiques sur les Etats-Unis de l'Amerique septentrionale", che è pubblicato in Francia nel 1788 e l'anno successivo in Germania. Mazzei dedica il libro ai suoi concittadini americani.

Il libro vuole offrire "una completa ed imparziale descrizione della confederazione americana" e dopo aver descritto gli Stati Uniti e la capacità politica dei suoi abitanti ad autogovernarsi, Mazzei critica duramente la Costituzione americana che pone l'accento sul governo e sul suo potere, più che sui limiti della sua azione nei confronti dei diritti del singolo; sulla dinamica interna delle istituzioni, più che sulla sua dipendenza dalla sovranità degli elettori.

Anche se non lo ammette esplicitamente, l'approvazione della Costituzione di Filadelfia dimostra ai suoi occhi che neppure l'America è stata capace di realizzare una vera democrazia il cui fondamento sia l'autogoverno dei cittadini e degli Stati che la compongono.

Il libro non riceve il successo sperato e molte copie restano invendute.

Nel 1788 gli muore, in Virginia, la moglie Petronille da cui è separato da otto anni.

Il Re di Polonia, Stanislao II° Poniatowsky, lo nomina suo rappresentante presso la corona di Francia.

Nel 1790 si unisce a Lafayette, Dupont de Nemours, Condorcet, Mirabeu, Tayllerand ed altri per fondare al "Societé de 1789" realizzata su modello della "Società costituzionale" da lui fondata in Virginia.

Gli scontri fra aristocratici e giacobini lo convincono che presto la Francia sarà teatro di stragi e di massacri.

Dopo quello, terribile, del 17 luglio consegna a Lafayette ed agli altri membri della Societé la lista di undici responsabili da eliminare, ma gli associati non ne vogliono sapere di seguire i suggerimenti di Mazzei che, nel lasciare la Francia per timore di essere coinvolto negli orrori della Rivoluzione, dice al duca de La Rochfocauld: «Ogni goccia di sangue che risparmiate stanotte ve ne costerà barili più tardi.» (Margherita Marchione, La vita avventurosa di Filippo Mazzei, pag. 95)

Nel dicembre del 1791 si reca in Polonia dove gli è concessa la cittadinanza.

Nel 1792 torna in Italia e si stabilisce a Pisa.

Nel 1796 sposa Antonia Antoni dalla quale ha una figlia, Elisabetta, il 23 luglio 1798.

Nel 1810 comincia a scrivere Memorie di vita e delle peregrinazioni del fiorentino Filippo Mazzei, che terminerà nel 1813 e sarà pubblicato nel 1846, molto dopo la sua morte, da Gino Capponi.

Muore ed è sepolto a Pisa il 19 marzo 1816.

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La figura e l'opera di Filippo Mazzei è stata stranamente trascurata dagli storici italiani, sebbene sia certo che Jefferson, alcuni anni dopo l'incontro con il toscano, per ottenere la nuova Costituzione degli Stati Uniti d'America, sia ricorso alle idee dell'amico immigrato.

Lo stesso disinteresse mostrato dagli storici nei confronti della sua opera è attualmente dimostrato dal Comune di Poggio a Caiano che ha lasciato la casa natale di Mazzei in uno stato di deplorevole abbandono e non ha diffuso adeguatamente la sua conoscenza fra gli abitanti del luogo al punto che pochissimi conoscono il nome del loro grande concittadino.

Mentre la sua Patria non lo ricorda neppure, in occasione del 250° anno della sua nascita, nel 1980, l'America gli dedica un francobollo e questo è sufficiente a farlo riemergere dalla naftalina.

Anche se può apparire sorprendente, da alcune delle sue opere appare evidente l'influenza che Mazzei ha sulla Costituzione degli Stati Uniti d'America.

Riportiamo perciò alcuni frammenti di quanto da e su lui scritto, che ben rappresentano l'idea dell'uomo e del suo pensiero.

Il 6 maggio 1776, la convenzione della Virginia prende atto che il 23 Agosto 1775 il re Giorgio III° ed il parlamento inglese, avevano dichiarato le colonie americane "ribelli" e che pertanto erano escluse dalla protezione delle leggi britanniche.

Cominciano gli scontri armati fra coloni e fedeli alla corona che si concluderanno con l'Indipendenza americana.

Mazzei scrive numerosi articoli di propaganda sui giornali firmandosi A citizen of the world, (Un cittadino del mondo).


"Miei cari amici cittadini, per giungere alla meta che noi desideriamo abbiamo ricordare che i diritti naturali dell'uomo sono la base di un libero governo. Questo ragionamento mostra chiaramente che l'Inghilterra non fu mai questo tipo di Stato, anche al suo più alto livello di perfezione, e che i nostri Stati possono divenire, con tutti gli altri svantaggi, non più che una cattiva copia di esso, che lo farà diventare poco più che uno stato di schiavitù..."


"Tutti gli uomini sono per natura ugualmente liberi ed indipendenti. Questa uguaglianza è necessaria stabilire un governo libero. Ognuno deve essere uguale all'altro riguardo ai diritti naturali...

Ma le opportunità non possono essere perfettamente uguali; ed ogni qualvolta una classe prende il potere, gli eventi umani dimostreranno che le classi non sono in equilibrio; e passo dopo passo la parte più grande della macchina crollerà."


Discute con Jefferson i problemi legati alla Costituzione del nuovo Stato, ma quando gli dichiara la sua intenzione di contribuirvi con sue proposte, Jefferson si rifiuta di leggerle durante la Convenzione.

Per questa ragione il 6 maggio 1776 Mazzei pubblica le Istruzioni dei possidenti della Contea di Albemarle ai loro delegati alla Convenzione.


Il 12 giugno 1776, la Convenzione adotta la Dichiarazione dei diritti della Virginia seguendo le indicazioni del patriota George Mason; il primo articolo di comincia così:


«Che tutti gli Uomini sono creati ugualmente liberi ed indipendenti, ed hanno certi diritti naturali dei quali non possono, per alcun patto privarsi o spossessare la loro Posterità...» (William H. Gaines, in La storia della Virginia attraverso i documenti, 1621-1788, Biblioteca statale della Virginia, Richmond 1974, p. 63)

Dopo circa un mese, il 4 luglio 1776, a Filadelfia si incontrano i rappresentanti delle tredici colonie in Congresso Generale ed adottano una Dichiarazione, che più tardi risulterà abbozzata dal vicino di casa di Thomas Jefferson, il toscano Filippo Mazzei, che afferma fra l'altro:

«Noi teniamo per certe queste Verità. Che tutti gli Uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili...»

È così che i pensieri di un immigrante toscano sono incarnati nel documento della fondazione degli Stati Uniti d'America: la Dichiarazione d'Indipendenza.

Questo contributo è ammesso anche da John F. Kennedy nel suo libro Una Nazione di Immigranti in cui afferma che:

«La grande dottrina “Tutti gli uomini sono creati uguali” attribuito nella Dichiarazione di Indipendenza a Thomas Jefferson, sono ripresi dagli scritti di Philip Mazzei, un patriota scrittore nativo dell'Italia, che era intimo amico di Jefferson.» (J. F. Kennedy, "Una Nazione di immigranti", Harper & Row, New York, pp. 15-16)


Nelle Istruzioni scrive infatti:


«La gloria di essere stato fra i fondatori comporta una tale gratificazione ai nostri cuori tale da controbilanciare tutti i problemi ed i sacrifici.»


«È il collegamento mancante (missing link) che pone Mazzei fra i nostri Padri fondatori. Non c'è dubbio che tale documento - "Bozza di Istruzioni"- fu scritta da Mazzei. La sua importanza è riconosciuta nel 1952 quando Julian Boyd afferma in una nota editoriale (Le Carte di Thomas Jefferson, Vol. 6) che la bozza di Costituzione redatta da Jefferson nel 1783 è influenzata dalle concezioni contenute nelle “Istruzioni degli abitanti di Alberarle”. Boyd stampò la copia trovata dall'impiegato fra le carte di Jefferson; non era consapevole che il documento è di Mazzei. (Mario Biaggi, Un apprezzamento di Filippo Mazzei, Patriota americano sconosciuto; da “Congressional Record”, Washington, D.C., 12 Settembre 1984, pag. 3806)


Il toscano fu, tuttavia, presto dimenticato; come furono dimenticati in America molti italiani, che con le loro opere ed il loro ingegno contribuirono a rendere grande quella nazione.

Riportiamo alcuni passi significativi delle Istruzioni scritte da Mazzei, che illustrano il suo pensiero politico. Le sottolineature sono considerate di particolare importanza agli effetti delle concezioni che Mazzei ha della Libertà e dell'Autogoverno.


6 Maggio 1776


  1. Si desidera che significhiate alla convenzione la No-stra approvazione e le nostre grazie per la sua prudente, nobile ed animosa condotta dal tempo della sua convocazione a quello della nostra liberazione dal governo insidioso e tirannico del re britannico. Magari avessimo altrettanta ragione di essere contenti dei suoi posteriori.

  2. Ci duole vederci ridotti alla necessità di far rimostranze proteste contro di essa, ma la Libertà, quella cara Libertà per cui ora assoggettiamo noi e le nostre famiglie a tanti gravi inconvenienti, quella sacra Libertà sul cui altare sacrifichiamo ora la nostra vita e i nostri averi, ci costringe a farlo nel modo più risoluto e decisivo. …Voi dovete dunque spiegare loro i nostri sentimenti. Dovete prima di tutto dir loro che quando diciamo popolo vogliamo dire tutti gli abitanti del paese, che è poi il vero significato della parola in un paese come il nostro dove tutti gli uomini, dal più opulento al più miserabile, sono perfettamente uguali nei loro diritti naturali, in un paese preservato fino ad oggi dal peggior malanno che possa mia capitare ad una nazione (la distinzione in classi), capitato il quale la libertà non può avere lunga durata. È opportuno farne menzione perché sono molti fra noi gli orgogliosi, vanitosi ed egoisti che per popolo intendono solamente la parte di esso povera ed analfabeta. Se il popolo potesse tutto riunirsi nello stesso luogo ogniqualvolta c'è bisogno di far leggi ed amministrare giustizia, esso farebbe da sé, come chi ha poca terra e poche mani. Ma il Paese essendo talmente vasto ed il riunirsi tutti gli abitanti in uno stesso luogo essendo impossibile, son costretti a far ciò che fa un gran proprietario terriero, il quale non potendo essere dappertutto è costretto a servirsi di un fattore generale e varj sovrastanti. (il parallelo non potrebbe essere più vero e più facile a comprendere da chiunque. E il nostro dovere ci ha costretto a far uso dello stile più familiare e più comprensibile per amore dei poveri ed analfabeti che non hanno avuto il vantaggio di istruzione ed i cui diritti, essendo uguali a quelli dei più istruiti e più opulenti, giustizia vuole che essi siano resi consci della loro importanza ed illuminati tanto da poter vedere le cose con i propri occhi e giudicare da sé, senza essere influenzati da altri i quali a volte non hanno scrupolo ad abusare della loro fede per soddisfare il proprio interesse e la propria vanità). …L'allegoria si scopre facilmente. Il popolo è il padrone, i rappresentanti sono il fattore, e quelli soggetti alla di lui guida sono i membri del potere esecutivo, e tutti quelli la cui scelta, paga ed emolumenti la comunità reputa conveniente e vantaggioso che vengano lasciati ai rappresentanti piuttosto che alla maggioranza del popolo. E se i nostri rappresentanti non fossero contenti del potere che noi siam disposti a delegar loro, il rimedio è molte semplice. Essi non sono affatto obbligati a servirci; possono tornare a quella vita privata dalla quale abbiam fatto loro l'onore di elevarli e ne sceglieremo altri che per amore della felicità e di proteggere i nostri posteri e l'umanità in genere non vorrebbero per sé più potere di quel che è veramente necessario per un governo di un paese libero.

  1. Voi dovete esprimer loro nei termini più rigorosi la meraviglia causataci dalla loro pretesa di porre limiti ai nostri diritti e di assumere il potere di istituire una forma di governo senza averne ricevuta la speciale potestà dalla maggioranza del popolo che è la sola sorgente del potere.


  1. ...Ma essi diranno che la maggioranza del popolo l'ha approvato dato che è stato approvato dalla maggioranza dei rappresentanti allora presenti. C'è qualcosa di veramente magico in quel vocabolo “rappresentanza”. Ha servito finora ammirabilmente ad accecare la maggior parte del popolo per tenerlo nella più perfetta ignoranza dei propri diritti e fargli credere di essere libero mentre la sola meschina porzione di libertà da esso goduta è stata quella di scegliersi i padroni. Però noi abbiamo cominciato ad aprire gli occhi. Incominciamo a scoprire la differenza fra libertà nominale e libertà sostanziale e non permetteremo che ci si inganni rispetto al più gran bene che possa godersi in terrà. Sappiamo che dobbiamo essere rappresentati in quelle cose per cui non possiamo esser presenti, ma ogniqualvolta possiamo esserci non delegheremo il nostro potere ad altri. Ci rappresenteremo da noi. Sarebbe cosa veramente crudele se dovessimo combattere per la libertà ed allo stesso tempo esporci a cadere sotto il potere arbitrario di pochi individui. Chi negherebbe che sarebbe arbitrario se fosse permesso loro di dar vigore di legge alle loro deliberazioni prima di essere esaminate ed approvate dai loro elettori? Chi dicesse che non c'è ragione di temere la formazione di un potere illimitato trovi se può nella nuova forma di governo da essi progettata la linea di delimitazione tra il potere delegato loro e il potere trattenuto dal popolo. Non ce n'è. Ma essi dicono: «Voi potete lasciarli fuori alle prossime elezioni se non ci garbano.» Che sorta di soddisfazione sarebbe ciò per noi se noi fossimo talmente insensati ad accettare una tale costituzione? I nuovi eletti sarebbero rivestiti dello stesso potere. Che vale per noi che i nostri padroni siano Giovanni, Giacomo, e Mosè, o Tommaso, Patrizio e Isacco? Non è che noi ci opponiamo all'aver questi padroni piuttosto che quelli: ci opponiamo all'averne affatto. Vogliamo agenti, non padroni.


  1. Ma ciò che fa ancora più meraviglia si è che essi nella loro pretesa costituzione hanno diametralmente contraddetto parecchi dei punti più importanti contenuti nella loro Dichiarazione dei Diritti. In essa essi dicono: «che tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi ed indipendenti ed hanno diritti inerenti dei quali non possono privare o spossessare i loro posteri, e che tutto il potere risiede nel popolo e che quindi proviene da essoMa nella loro forma di governo essi si arrogano un potere illimitato senza menomamente badare ai loro elettori, che essi limitano ad obbedire passivamente alle leggi, lasciando loro la sola meschina scelta di cambiar padroni ad ogni anno. Dicono che «i magistrati fiduciarj e servi del popolo e sono sempre responsabili innanzi ad esso», ma nella loro progettata costituzione non c'è la menoma disposizione a tale effetto. Dicono che coloro che esercitano «i poteri legislativi ed esecutivi dello stato dovrebbero, a determinati periodi di tempo, essere rimandati alla vita privata per scansare che opprimano facendo loro sentire e condividere i pesi del popolo», ma non c'è disposizione a tal effetto che per il governatore, il consiglio, e il Senato, ma non per se stessi…

  2. Siccome la nostra libertà vien ridotta in proporzione al potere che conferiam loro, sarebbe pazzia il conferirne più che non sia veramente necessario. Il potere di approvare o disapprovare le leggi fatte dai nostri rappresentanti è uno di quei diritti di cui non possiamo privare o spossessare i nostri posteri.È veramente inconcepibile che un piccolo numero di uomini, chiamati dal popolo a servire i suoi affari (solo perché i membri della comunità non possono riunirsi in un luogo), possano pretendere di non essere soggetti al sindacato di chi li ha assunti, anzi di arrogarsi anche autorità illimitata su coloro che li hanno assunti e caso mai questi non fossero contenti dell’arbitrarietà della loro gestione, non avrebbero il potere di licenziarli prima del termine di un anno, quando sarebbe permesso loro di scegliere nuovi agenti, ma con la stessa arbitrarietà di potere illimitato. Se questa è libertà, ci piacerebbe sapere cos'è la schiavitù. È mera illusione pretendere che un paese sia libero se tutto il potere dei suoi abitanti risiede in pochi uomini, sebbene siano scelti da essi e possano cambiarsi annualmente, È vero che il timore di essere scartati alle prossime elezioni possa esercitare una specie di freno su di essi per qualche tempo, ma ciò sarebbe un cattivo custode delle nostre libertà. Quanto più prosperasse il nostro Paese, tanto maggiore diverrebbe il loro potere e prestigio. Dopo aver tenuto lungo tempo una carica, acquisterebbero un tale ascendente sui loro elettori, che questi non penserebbero nemmeno a scartarli. Il popolo sente una specie d'orgoglio nel votar sempre per le stesse persone ed è spesso abbagliato dallo splendore e dall'opulenza e sempre prevenuto a favor di famiglie cospicue e dei figli degli uomini di valore, che somiglino o no ai genitori. Sicché se non stiamo in guardia contro le conseguenze di tali pregiudizj mediante salutari leggi costituzionali, vedremo perpetuare alcune cospicue famiglie, e i loro congiunti clienti, e ridurre il governo sostanzialmente a un’aristocrazia e magari oligarchia insolentemente esercitata all'ombra della libertà. Per evitare quindi un tal gran male, per rendere ognuno conscio della propria importanza come membro della comunità uguale a chiunque altro nei suoi diritti naturali, per renderci più competenti in materia di leggi e più felici sotto di esse, deliberiamo: …Che le leggi fatte dai nostri rappresentanti non possono essere dette né devono essere, leggi del paese fintanto che non saranno approvate dalla maggior parte del popolo riunitosi nell'edificio governativo di ogni contea… Non pretendiamo di dire che la maggioranza di noi siamo capaci di giudicare della convenienza o meno di ogni legge. Lo stato di schiavitù in cui siamo vissuto ci ha impedito di badare a tali cose, ma presto vi arriveremo... Desideriamo che una giusta e chiara linea di demarcazione sia tracciata tra il potere necessario da conferirsi dagli elettori ai loro deputati e quel che prudentemente deve rimanere nelle nostre mani. Che sia indicato un metodo regolare mediante il quale tutta la comunità possa riunirsi ogniqualvolta dovesse considerarsi necessario di deliberare su qualche profonda modificazione del governo, a norma del terzo paragrafo della Dichiarazione dei Diritti. …È incontestabile che la libertà di una comunità vien ridotta proporzionalmente al potere conferito a un piccolo numero dei suoi membri e che tale menomazione di libertà è un male necessario in un vasto paese dove tutto il popolo non può adunarsi in un luogo per deliberare su affari pubblici. Sarebbe quindi contro prudenza e la giustizia dovuta ai nostri posteri il delegare più che non sia assolutamente necessario al buon governo di uno stato libero…

  3. Supponendo però che la mancanza di abilità e penetrazione la maggioranza del popolo dapprima disapprovasse una buona legge, l'inconveniente non durerebbe che poco. Sarebbe insignificante in confronto del pericolo di porre troppo potere in mano a pochi individui. …Ma quel che merita più considerazione è che sarebbe la stessa cosa se tutti ci riunissimo per fare le nostre leggi. E nessuno osa negare che se tutti gli abitanti di un paese potessero riunirsi in uno stesso luogo e deliberare su ogni soggetto, si avrebbe allora il vero governo libero e conseguentemente il migliore. Quando il migliore non può ottenersi, è prudenza scegliere il più prossimo ad esso, ed il più prossimo ad esso è certamente quello che ci proponiamo di adottare. Il metodo per ottener ciò non solo è praticabile ma facile, istruttivo, vantaggioso e onorevole. …Potrebbe esser necessario per la sicurezza della comunità, particolarmente in tempi turbolenti e critici, che certe deliberazioni dei nostri rappresentanti entrassero immediatamente in vigore. A tal uopo noi siamo disposti a delegar loro un potere discrezionale, ma le loro dovrebbero essere solo leggi provvisorie o temporanee da rimanere in vigore finché il popolo non le rigetti o adotti. In tal guisa noi sapremo bene le leggi e ne saremo così contenti avendo cooperato nel farle, che vivremo con esse piuttosto che sotto di esse, idee nobili e virtuose eleveranno la nostra mente, un numero infinito di inconvenienti sociali verranno eliminati, e i migliori e più animosi uomini, che oggi gemono sotto l'oppressione tirannica in altri paesi voleranno a quello felice dove ogni individuo gode veramente della sua partecipazione al governo. …Dovete far loro presente che essi (i rappresentanti) sono gli agenti del popolo, la maggioranza del quale ha diritto di comandarli e di discioglierli se non si conducono in modo da contentare chi li ha assunti, che un numero qualunque di individui hanno il diritto di esprimer la loro opinione e di ricevere decente risposta ad ogni loro richiesta; che cestinare carte indirizzate loro senza degnarsi di rispondere, alla maniera dispotica dei sovrani dell'Asia, è per uomini liberi un oltraggio da non sopportarsi; che essi medesimi, per mostrare propensione e stabilire un governo su principj d'eguaglianza devono procurare di abolire qualunque cosa abbia tendenza, anche formale, a porre parte del genere umano troppo al di sotto o di sopra d'altra parte; che, per esempio, espressioni quali umilmente implorare o sempre supplicando vanno bene in un libro di preghiere ma non da uomini ad uomini; e che il nostro decoro stesso esige che siamo rispettati ma non stimati deità. …Dalla nostra contea riceverete istruzioni su questo soggetto non appena vi avremo bastantemente deliberato. I molti e gravi abusi sotto i quali gememmo durante la vecchia costituzione e il tentativo fatto dalla Convenzione di darcene una nuova in sì breve tempo, ci hanno ammonito di non precipitare le cose.


Dopo un lungo dibattito, la Convenzione dei delegati della Virginia, approvata il 28 giugno 1776, elaborata soprattutto sulla base del piano di George Mason, mostra la volontà di mantenere la continuità del gruppo dirigente e la sostanziale identità istituzionale con il precedente ordinamento coloniale inglese e non tiene considerazione le Istruzioni di Mazzei.

La sua risposta violenta non si fa attendere e compone il testo di nuove Istruzioni della Contea di Albemarle riguardo alla Costituzione indirizzate all'Assemblea dei rappresentanti.

Mazzei manifesta il suo "…sbalordimento di fronte alla pretesa di fissare limiti ai nostri diritti e di assumere il potere di imporre una forma di governo senza specifica autorizzazione da parte del popolo nel suo insieme che è l'unica fonte del potere."

Pur riconoscendo che il comportamento dei rappresentanti è stato ineccepibile e meritevole fino alla Dichiarazione di Indipendenza, egli afferma che: "...se, come ricompensa per i loro (dei rappresentanti, N.d.a.) servizi, pretendono di assumere più autorità di quanta noi siamo disposti a delegare loro, dobbiamo far saper che nessun servizio può dare questo titolo e che noi siamo determinati a difendere i nostri diritti contro le usurpazioni che vengono sia dall'interno sia dall'esterno".

Per Mazzei la Costituzione appena approvata nega di fatto che gli uomini abbiano diritti innati ed inalienabili, e gli consente solo "la meschina scelta di cambiare padroni ogni anno".

La sua preoccupazione maggiore è quella di cercare gli strumenti per permettere agli elettori di esercitare un controllo permanente sui rappresentanti.

Sebbene fosse consapevole dei limiti della Democrazia Diretta, cioè dell'Autogoverno, Egli afferma infatti:


«Il nostro dovere è sottometterci alle leggi fatte dai nostri rappresentanti, ma anche allora abbiamo diritto di... fare tutto quanto è in nostro potere per farle revocare se dovessero apparirci contraddittorie con l'onore e l'interesse della comunità.»


Richiamandosi al saggio di Joseph Priestley “On the first principle of government”, dichiara che…


«È una verità incontestabile che un paese non è libero, se tutti i suoi abitanti non partecipano egualmente al diritto di governare» e continua affermando che «Il potere di approvare o respingere le leggi promulgate dai nostri rappresentanti è uno di quei diritti di cui non possiamo privare o spogliare i nostri posteri.»


Egli cerca di diffondere l'idea che la libertà sostanziale cui devono mirare le Istituzioni, non deve degradare nella libertà nominale cui tende la rappresentanza.

Mazzei, dunque, non porta dalla Toscana nella contea di Albemarle in Virginia, solo uomini, piante e sementi, ma prodotti del pensiero, le tradizioni e la cultura della terra in cui è nato e del popolo cui appartiene.

Sono questi pensieri e questi principi che attraverso l'amico Jefferson penetrano nella Costituzione degli Stati Uniti d'America e contribuiscono a farne, sotto certi aspetti, la patria della libertà e della democrazia.

Mazzei lascia l'America il 17 giugno 1785 dirigendosi in Francia, dove vive per i successivi tre anni.

In una lettera che scrive a James Madison il 3 giugno 1785 poco prima di lasciare la nuova Patria, afferma: «Io sto andando via ma il mio cuore rimane...»

Non la dimenticherà mai e continuerà a proporre i suoi servizi per il governo degli Stati Uniti d'America.

L'ultimo gesto d'amicizia è quello di assumere, nel 1802, due scultori, Giovanni Andrei e Giuseppe Franzoni, per un lavoro a Washington, D.C, già capitale della Nazione americana.

Trascorre a Pisa la parte finale della sua lunga esistenza.

In città è conosciuto col nomignolo di "Pippo l'ortolano" che gli piace più di tutti gli altri.

Inutile commentare le Istruzioni; per una persona di comune intelligenza si commentano da sole.

La sua visione di una società tanto più libera quanto meno il potere dei suoi abitanti è delegato ai rappresentanti, resta un fatto incompiuto anche nell'Italia di oggi, ormai avvezza ad un sistema di potere feudatario ed ignobile, che non solo ha mantenuto i cittadini in uno stato di profonda ignoranza politica, ma che si nasconde attraverso mille spregevoli sotterfugi attraverso i quali li ha privati dello spirito della libertà che questo straordinario toscano cerca di affermare nella Costituzione americana quasi 250 anni fa.

Egli vuole a tutti i costi evitare che si eleggano sempre le famiglie eminenti, i parenti ed amici dei potenti (come fanno oggi i partiti) che «riducono il governo ad una aristocrazia tirannica e forse ad una oligarchia esercitata insolentemente sotto l'apparenza della libertà.»

Mazzei assume così per primo e cerca di introdurre nella pratica politica la posizione che J. J. Rousseau sostiene nel terzo libro capitolo XV° de “Il Contratto sociale” pubblicato nel 1762, per la quale:


"La sovranità non può essere rappresentata né essere alienata… I deputati del popolo non sono dunque e non possono essere i suoi rappresentanti, sono solo i suoi commissari; non possono concludere niente in modo definitivo. Qualunque legge che non sia stata ratificata dal popolo in persona è nulla; non è una legge. Il popolo… si crede libero, ma è un grave errore; è libero solo durante l'elezione dei membri del parlamento; appena avvenuta l'elezione è schiavo; è niente. Nei suoi brevi momenti di libertà ne fa un uso per cui merita senz'altro di perderla."


Sebbene in una società moderna, sostiene Rousseau, a causa dell'estensione del territorio e del numero degli abitanti, sia impossibile radunare tutti i cittadini in assemblea in grado di deliberare le leggi, e che da ciò derivi la necessità di nominare commissari, agenti in grado di legiferare in nome delle persone, è evidente che la sovranità appartiene per diritto naturale al popolo, ed è un diritto inalienabile, inviolabile ed imprescrittibile che non può essere confinato nella crocetta da mettere una volta ogni quattro o cinque anni sulla scheda elettorale.

In base a ciò la delega di rappresentanza deve essere fatta a certe e ben definite condizioni, mancando le quali, afferma Rousseau e sostiene Mazzei, il governo è illegittimo.

Se tali condizioni, espresse o no, sono violate, o se il governo non rispetta la volontà della maggioranza dei cittadini sui fatti concreti, il potere delegato, deviando dalle intenzioni per le quali è stato concesso, deve essere abrogato.

Consapevole di ciò, e temendo che il governo sia presto ridotto ad una oligarchia esercitata sotto l'apparenza della libertà, Mazzei sostiene il concetto che debba essere sottoposto in continuazione al controllo popolare attraverso l'approvazione delle leggi da parte del corpo elettorale.

Solo dopo di ciò, afferma, la legge acquista valore e legittimità.

Ogni persona ragionevole è in grado di comprendere la verità e l' opportunità di questa concezione dello Stato.

A distanza di quasi 250 anni, tuttavia, tali principi non sono stati introdotti né nella Costituzione della Repubblica italiana, né negli Statuti delle Regioni, delle Province e dei Comuni.

Niente, meglio che l'attuale governo delle Regioni, delle Province e dei Comuni italiani, esprime l'antitesi al pensiero di Mazzei ed all' idea di libertà, di giustizia e di eguaglianza che egli sostiene.

L'Italia intera, vive oggi una libertà nominale che contraddice spudoratamente la libertà sostanziale caratteristica della concezione politica contrattuale o federale dello Stato che i politicanti di tutti i partiti politici tentano d’introdurre negli ordinamenti.

Per tali ragioni il popolo è costretto a relegare il significato della democrazia nel giorno delle elezioni dei rappresentanti ed è ridotto unicamente a servire con la borsa il prezzo della sua indifferenza e pigrizia.

Il disinteresse, l'apatia e la pigrizia che oggi le persone mostrano nei confronti della politica, non è la causa ma l'effetto del tradimento, da parte dei politici, dello spirito della democrazia e quindi della Comunità e della Libertà.

La ragione dell'interesse verso la politica, sostiene Mazzei, dovrebbe essere per tutti quella determinata dalla necessità di istruire la massa del popolo, per permettergli di garantirsi una giusta libertà, una giusta autorità ed il rispetto dei diritti naturali.

Il Parlamento italiano, le Regioni, le Province e i Comuni, a causa della mancanza di cultura politica in cui sono tenuti i cittadini, si sono ridotti a nient'altro che a Clan di interessi, dove i potenti di turno comandano da dietro le quinte.

Lo stato di abbandono della casa in cui è nato Mazzei, lungo la via Fiorentina che congiunge Pistoia a Firenze, ai piedi del colle di Poggio a Caiano, proprio davanti alla strada che conduce a Prato, è anche il simbolo eloquente dell'abbandono dei principi e dei valori ai quali l'ennesimo genio toscano, che amava farsi chiamare "Pippo l'ortolano", dedicò il suo impegno e la sua intelligenza.

Vergogna per tutti coloro che, conoscendo le sue opere, ne hanno dimenticato il significato sociale e spirituale; vergogna per tutti coloro che non si impegnano ad affermare nella propria terra i principi di giustizia, di verità, di autentica Libertà e di Autogoverno, in cui Mazzei crede ed ai quali dedica gran parte della sua lunga esistenza.

Le memorie di Mazzei

Per i lettori del nostro sito, ecco un'opera essenziale per conoscere l'interessante e burrascosa vita di Filippo Mazzei, l'illustre toscano del cui nome il nostro Clan libertario si fregia.

Da oggi è infatti possibile scaricare in formato pdf i due volumi delle "Memorie della Vita e delle Peregrinazioni del Fiorentino Filippo Mazzei con documenti storici delle sue missioni politiche come agente degli Stati Uniti d'America, e del re Stanislao di Polonia".
Pubblicata postuma nel 1845, questa autobiografia ripercorre tutta la vita dell'avventuriero di Poggio a Caiano e riporta in appendice gran parte della sua corrispondenza con personaggi importanti del suo tempo.
Una lettura davvero interessante, che consente di approfondire a dovere questa straordinaria figura rimasta colpevolmente semisconosciuta nel nostro paese.

Per scaricare la cartella zippata contenente i due volumi in pdf cliccate qui:

Ma quale federalismo?

In leggero anticipo sulla tabella di marcia, ecco a voi un articolo di Paolo Bonacchi sulla prossima riforma "federale"...buona lettura!


Da oggi i media asserviti al potere ripeterenno migliaia di volte il fatto che Bossi e Berlusconi FANNO IL FEDERALISMO. Una menzogna ripetuta cento volte diventa una "verita"; ripetuta mille volte diventa un "assoluto". Sono un cittadino comune che per passione civile si dedica da 20 anni a studi sul Federalismo, in quanto "idea dello Stato contrattuale". Posso dire in sincerità a tutti che nella riforma presentata dai due somari di Stato sopra citati NON ESISTE UN SOLO CONCETTO DEL FEDERALISMO la cui natura CONTRATTUALE impone innanzitutto l'idea di SOVRANITA' POPOLARE. Dopo aver falsificato nell'immaginario collettivo l'idea di Democrazia ed ingannato il popolo sulla natura criminale della Banca d'Italia, i politici del nostro sciagurato Paese, asserviti totalmente al Dio del Potere e del denaro, indifferenti davanti agli interessi ed alle aspettative del Popolo, stanno perpetrando nuovamente un nuovo FALSO storico di grande portata che affosserà definitivamente la bellissima idea di Stato FEDERALE che rende liberi i Popoli e le Persone dalla tirannia dello "status quo". A conferma di quanto scritto riporto il giudizio di Gianfranco Miglio su Bossi e sui suoi "colonnelli": "Quando i miei amici leghisti si proclamavano "federalisti" io domandavo loro, un pò ironico, che cosa ciò volesse dire. Mi rispondevano candidamente: "Non lo so"., oppure facevano confusi riferimenti alle "autonomie", alla liberazione dall'egemonia del Sud, e via di questo passo. Anzi, io ho il sospetto che nella mente del segretario (Bossi, n.d.r.) e dei suoi collaboratori - stante l'ignoranza circa ciò che era un "vero" ordinamento federale - quest'ultimo si confonda con un generico "cambiamento" delle posizioni personali di potere. Del resto nei quattro anni che ho passato accanto ai vertici del movimento (e ci stavo notoriamente come esperto della riforma costituzionale) non una sola volta - dico una sola volta- Bossi, oppure uno dei suoi "colonnelli", mi hanno domandato una qualsiasi informazione su qualche punto dell'ordinamento federale che noi auspicavamo. Il "federalismo" era per il segretario ed i suoi accoliti uno strumento per la conquista del potere, una specie di "piede di porco" con il quale scardinare le difese degli avversari. Più volte alcuni dei "colonnelli" si sono domandati, conversando con me, se l'attuazione della "rivoluzione federalista" corrispondesse realmente all'ineresse del movimento". (Gianfranco Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori, 1994, p. 48). A questi incompetenti falsari i media stanno affidando irresponsabilmente il compito di affossare definitivamente nell'immaginario collettivo l'idea di Federalismo, confondendola con uno strampalato "federalismo fiscale" che tutt'al più può essere considerato un "decentramento fiscale" fatto malissimo. Nessun "federalismo fiscale" sarà possibile in Italia fino al momento in cui l'ordinamento dello Stato non sarà "federale", ovvero fondato sulla legittimazione diretta delle leggi da parte degli aventi diritto al voto. Il maggior studioso del Federalismo del secolo Ventesimo ha scritto: "Nelle Repubbliche federali ... Il popolo sovrano può delegare e dividere i poteri come meglio crede ma la sovranità rimane una sua proprietà inalienabile.(D. J. Elazar, Idee e forme del federalismo, Edizioni di Comunità, Milano, p. 90). Che cosa è la "sovranità" se non il "potere di fare, modificare o legittimare le LEGGI che riguardano tutti?" La vera riforma costituzionale di cui lo Stato italiano ha bisogno riguarda un unico concetto: la *Sovranità popolare*, che l'articolo 1° comma 2 della Costituzione ha *limitato* per salvaguardare l'interesse dei partiti. Il federalismo può piacere o non piacere, ma non si può mentire spudoratamente su ciò che realmente è. Vogliamo avere un'immagine reale di cosa è il federalismo? Guardiamo all'ordinamento della vicina Svizzera, l'unico paese al mondo ad avere un ordinamento davvero federale. Il popolo italiano deve essere chiamato a scegliere su questa base e non sulle menzogne di persone che non hanno idea di cosa sia il Federalismo. Aiutatemi a diffondere questo messaggio. Mi assumo la responsabilità personale di quanto ho scritto.


Paolo Bonacchi